giovedì 10 settembre 2015

La tragedia di Paolo e Francesca




Quella di Paolo e Francesca è una storia che da sempre ha appassionato studiosi di ogni epoca e luogo e dalla quale molti scrittori, poeti, musicisti e pittori hanno tratto ispirazione. Solo per citarne alcuni, troviamo rappresentate le gesta dei due innamorati nelle opere del Petrarca e del Boccaccio, di D’annunzio, ma anche di Rachmaninov, di Ciaikowsky e poi di Scheffer, di Rossetti, di Cassioli.
Celebre è il V canto dell’Inferno di Dante Alighieri che ha per protagonisti proprio i due sventurati amanti, costretti nel girone dei lussuriosi e che a un’infinita pietà muovono il poeta.
La scarsità di documenti ufficiali e forse proprio questo abbondante apporto alla vicenda da parte di artisti, che quasi mai si limitano a riportare la semplice cronaca e, anzi, fanno sovente ricorso alla creatività, hanno contribuito a trasformare la storia in un’affascinante leggenda avvolta nel mistero.
E’ il 1275 quando Guido da Polenta, Signore di Ravenna e Cervia, decide di concedere la mano di sua figlia Francesca a Giovanni Malatesta, detto Gianciotto.
Non sono chiare le motivazioni che portarono Guido a questa decisione: alcuni sostengono che l’abbia fatto per instaurare una pace duratura e sanare vecchi screzi tra le due famiglie, ma, più probabilmente, le nozze si possono intendere quasi come una ricompensa per l’aiuto che Gianciotto e i Malatesta apportarono ai Da Polenta nel combattere i Traversari, loro nemici, per il dominio di Ravenna.
Benché lo sposalizio dovesse ancora essere celebrato, già si poteva intendere come, per Francesca, questo non fosse baciato dalla luce di una buona stella: non solo Giovanni possedeva un brutto carattere e pessime maniere, ma era anche molto più vecchio di lei ed era nato con una malformazione fisica che gli valse appunto l’appellativo di Gianciotto, nomignolo che ricorre anche in documenti ufficiali e  che ai giorni nostri potrebbe essere inteso come Giovanni Zoppo.
Prima di essere un matrimonio, fu un inganno: si racconta che Guido da Polenta, alle voci che lo accusavano di accompagnare male la sua figliola, rispose che se questa avesse visto lo sposo soltanto a cose fatte, non avrebbe potuto far altro che accettare la situazione.  E la realtà non fu molto diversa.
Per evitare il possibile rifiuto di Francesca, le due potenti famiglie pensarono di mandare a Ravenna Paolo il bello, uomo piacevole e dai modi cortesi, fratello minore di Gianciotto. A quanto si narra, una damigella esortò Francesca a guardare fuori da una finestra e le disse, accennando a Paolo che si trovava a passare poco distante, che quello sarebbe stato suo marito. Ed è così che la giovane figlia di Guido, ancora poco più che quindicenne, pronunciò a distanza di pochi giorni il suo sì, senza sapere, cioè, che Paolo la sposava per procura, ossia a nome e per conto di Gianciotto. Si può quindi immaginare lo stato d’animo della bella Francesca quando il giorno seguente conobbe il vero marito.
Non potendo fare altro, e come predetto dal padre Guido, la ragazza si rassegnò al matrimonio e qualche tempo dopo ebbe una figlia che chiamò come sua suocera: Concordia. Dal momento che Giovanni Malatesta esercitava la funzione di Podestà in quel di Pesaro e vi si doveva recare ogni mattina, aveva scelto come dimora per sé e la sua famiglia la Rocca di Gradara, non più distante di una mezz’ora a cavallo.
Anche Paolo, che aveva dei possedimenti nei pressi di Gradara, dovette di sovente sostare al castello per far visita al più anziano dei Malatesta, a quel genitore che Dante, nella Commedia, chiama “Mastin Vecchio”. I più romantici sostengono che la presenza frequente dell’aitante Paolo presso la rocca fosse in realtà dovuta al senso di colpa di costui per essersi prestato all’inganno ai danni della bella cognata. E Francesca, donna spesso sola per via delle continue assenze del consorte, avrà certo gradito quelle giornate trascorse in compagnia.
Si racconta che i due si intrattenessero con la lettura che spiega l’amore tra Ginevra e Lancillotto e che questa li avvicinò così tanto da far incontrare un giorno in un bacio le loro labbra. E il bacio di un giorno divenne amore eterno.
E’ con tutta probabilità il 1289 quando qualcuno, forse un servo o più presumibilmente il terzo fratello Malatesta, Malatestino dell’occhio, così chiamato perché aveva un occhio solo, scoprì gli incontri segreti tra Paolo e Francesca e ne informò il rude Gianciotto.
Quest’ultimo, la mattina seguente, finse solamente di partire per Pesaro e, rientrato al castello per un passaggio segreto, sorprese i due amanti. Accecato da gelosia e rabbia estrasse la spada e fece per colpire il fratello Paolo. Francesca per salvare l’uomo amato gli si parò dinnanzi, ma Gianciotto non usò pietà e li finì entrambi.
 
L’omicida morì a sua volta nel 1304 presso il Castello di Scorticata, l’odierna Torriana, per mano dei nipoti, figli del fratello che aveva assassinato.

Ma non è tutto, la leggenda si tinge ancor più di mistero, quando nel 1760,durante dei lavori di sterro, venne rinvenuto un sarcofago romano che sembra contenesse il corpo di Francesca. L'anima della povera ragazza, a quel che invece si racconta, sembra aggirarsi ancora inquieta, durante le notti di luna piena, lungo gli antichi camminamenti del castello.

Rocca Ubaldinesca




Il duca Federico non è semplicemente un eccellente capitano di ventura, è molto di più: è un impresario della guerra. Il Signore di Urbino, infatti,  assieme a quella che oggi potremmo definire la sua “azienda bellica”, non si limita a condurre operazioni militari su richiesta, ma è in grado di fornire eserciti formati ed equipaggiati e saprebbe apportare  anche comprovate conoscenze di architettura militare nel caso in cui il committente abbia necessità di rivedere le sue strutture di difesa.

Non è solamente per proteggere il territorio, dunque, che il nord delle Marche ospita tutti questi castelli: le imponenti e sublimi strutture militari testimoniano la profonda sapienza del duca e della sua squadra in ambito bellico.

E per essere i primi della classe, per essere all’avanguardia, è necessario sperimentare. Ma non sempre gli esperimenti vanno a buon fine. E questo è il caso della Rocca Ubaldinesca.

Uno degli uomini a cui il duca è più legato è senza dubbio il conte Ottaviano degli Ubaldini, tant’è vero che è costui ad assumere la reggenza dello Stato, ad amministrare il denaro e a ricevere gli ambasciatori quando Federico è assente. Non stupisce quindi che attorno al 1470 il Signore di Urbino affidi al suo braccio destro Ottaviano lo strategico borgo di Sassocorvaro, ordinandogli, inoltre, di fortificarlo con l’aiuto dell’architetto senese Francesco di Giorgio Martini.

Francesco si trova subito a dover fare i conti con diverse problematiche.

Per prima cosa, Federico non è uomo attento solo alle cose pratiche, ma è anche un esteta. La rocca non dovrà essere allora soltanto funzionale, dovrà anche essere bella.

In secondo luogo, c’è da accontentare il committente vero e proprio, Ottaviano degli Ubaldini. Il conte, però, non è un cliente facile. Egli, oltre a essere un letterato e un filosofo, è anche un astrologo e un grande appassionato di esoterismo: non è sufficiente che la struttura sia a metà strada tra fortezza e palazzo signorile, Ottaviano è ben deciso a darle la forma di una tartaruga, simbolo alchemico di forza e durevolezza.

Infine all’architetto è richiesto di centrare un obiettivo ambizioso: realizzare il primo fortilizio resistente a una nuova e terribile arma detta “bombarda”. E per raggiungere lo scopo, Francesco costruisce la rocca con l’idea di rendere le mura che dovranno opporsi agli assalti continuamente sfuggenti. In pratica egli è convinto che un’arma da fuoco produrrà più danni colpendo una superficie piatta piuttosto che una superficie convessa o, detto più semplicemente, a pancia.

Tuttavia, la fortezza non è ancora terminata che il senese si rende conto che a tanta bellezza non fa da contraltare altrettanta efficienza bellica: le forme tondeggianti impediscono una buona visibilità e riducono di molto la possibilità difensiva.

Dal punto di vista militare, dunque, la Rocca di Sassocorvaro è un vero e proprio insuccesso, un fallimento che Francesco di Giorgio Martini si guarderà bene dal citare nei suoi trattati. Ma sono proprio quelle sue forme “sbagliate” a differenziare il fortilizio di Sassocorvaro da tutti gli altri capolavori dell’architetto senese, rendendolo unico e stravagante.
 
La Rocca Ubaldinesca, quasi fonte di imbarazzo per il suo ideatore, prende la sua rivincita cinque secoli dopo la costruzione. E’ il 1939 quando il professore Pasquale Rotondi, su incarico del ministero dei beni culturali, compie un gran numero di viaggi sulla sua Balilla per celare dietro le forti mura del castello una quantità incredibile di opere d’arte, ovvero quello che l’Italia ha di più prezioso. E’ con pochissimi mezzi e grande coraggio che Rotondi porta a compimento la sua missione top secret, detta “Operazione Salvataggio”, salvando dalla brutalità della guerra opere di artisti come Caravaggio, Botticelli, Piero della Francesca, Raffaello, Mantegna, Leonardo, Rubens, Canaletto e tanti altri.
Ma la Rocca di Sassocorvaro non è famosa solo tra gli appassionati di storia, è ben conosciuta anche negli ambienti esoterici. Sono numerosi i sensitivi che affermano, entrando al suo interno, di percepire rumori di battaglia. Inoltre si dice che il fortilizio sia abitato da due spiriti: il primo potrebbe essere quello di Corrado Cariati, ucciso a tradimento dai Malatesta e poi sepolto nell’edificio stesso; il secondo  si racconta sia quello di Elisabetta Valentini, accusata di tradimento e uccisa a colpi di pugnale dal marito.

Come se tutto ciò non bastasse a rendere il castello uno dei più caratteristici, c’è da annotare anche un’altra curiosità, il piccolo teatro realizzato al suo interno sul finire dell’Ottocento.